I cambiamenti climatici globali a cui abbiamo assistito negli ultimi anni hanno spinto le nazioni del mondo a prendere consapevolezza delle proprie responsabilità nella gestione delle risorse e a comprendere che nulla è illimitato.
Guardando ai nostri confini nazionali il 26 Febbraio 2021 a Roma il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto legge Ministeri che sancisce la nascita del MITE ossia il Ministero della Transizione Ecologica che, in chiave di riorganizzazione delle competenze e obiettivi per il prossimo futuro, sostituisce il vecchio Ministero dell’Ambiente ereditando le precedenti competenze e aggiungendone di nuove per poter quindi rispondere al cambiamento in atto imputabile al processo, che coinvolge anche il nostro paese, di transizione ecologica.
Con questo termine si intende l’insieme delle politiche territoriali, ambientali ed energetiche che mirano a far diventare il paese “carbon neutral” minimizzando le emissioni di CO₂ con i conseguenti obiettivi di aumentare la produzione di energia pulita, rinnovabile e a basso impatto ambientale.
Il motore che fa muovere il tutto è la capacità di modificare profondamente anche lo stile di vita delle persone nonché il modello di sviluppo economico che deve essere quello di maggiore sostenibilità e basato sull’economia circolare. La roadmap italiana per il perseguimento della transizione ecologica prevede 5 punti.
Entro il 2050 il paese ha sottoscritto l’impegno di abbassare le emissioni inquinanti come concordato con gli accordi sul clima della conferenza di Parigi del 2015.
Circa le attività collegate al settore agricolo l’impegno riguarda la diminuzione degli allevamenti come pure l’uso di pesticidi, la creazione di rifiuti e il riutilizzo in modo alternativo di quelli necessariamente prodotti.
Sul fronte mobilità, riferendoci ai mezzi di trasporto, si deve andare verso la massiva elettrificazione degli stessi. Si identifica il 2030 come deadline per la vendita di auto alimentate tradizionalmente e come obiettivo di avere sulle nostre strade almeno 6 milioni di veicoli elettrici. Sono stati accantonati fondi per la realizzazione di 1820 Km di piste ciclabili urbane ed extraurbane come pure 240km di rete per il trasporto rapido di massa da dedicare alle vie da percorrere con tram, bus, filovie e funivie. Atro denaro sarà destinato all’inserimento ci circa 7500 punti di ricarica per le automobili elettriche sulle autostrade italiane e ulteriori 13755 accessi nei centri urbani. Si prevede anche l’acquisto entro il 2026 di 3360 bus elettrici a basse emissioni.
La transizione ecologica passa anche dallo stop alle trivelle ossia il fermo alla perforazione del suolo per cercare giacimenti di combustibile con conseguente danno irreversibile al territorio. Di pari passo con questo serve tutelare e salvaguardare la biodiversità, reintegrando, ove necessario, gli ecosistemi, la biodiversità marina e il patrimonio boschivo.
Guardando ai nostri confini viene da chiedersi qual è la fotografia delle nostre imprese italiane e quindi del nostro sistema governativo. Aa oggi più di 8 imprese su 10 (l’83%) ritiene che il percorso di transizione ecologica sia necessario. Allo stesso modo circa il 62% delle aziende vede il periodo storico come momento favorevole per intraprendere questo percorso che porta a maturazione anche nuove opportunità strategiche. Tre aziende su quattro puntano al fatto che l’Italia sia promotrice della transizione ecologica in quanto questa scelta porterebbe il nostro paese fra i più industrializzati e avanzati del mondo. Le aziende che adotteranno le misure previste ne otterranno un miglioramento competitivo e di brand reputation verso il proprio pubblico.
Nello stesso tempo, però, restano alcuni deficit importanti. Dalle recenti ricerche sullo stato attuale delle nostre imprese emerge che solo il 35% di esse ha ricevuto la corretta formazione circa normativa e procedura per diventare aziende green. Il tutto si complica ulteriormente se si considerano le lungaggini provocate dalla burocrazia, i tempi di attesa per ottenere le autorizzazioni o per accedere ai fondi e risorse necessarie. La troppa burocrazia è da sempre l’ostacolo contro cui si scontra chi intende intraprendere e conseguire il cambiamento.
La preoccupazione degli imprenditori circa la concreta capacità di allinearsi con le misure previste sta anche nell’imminente e aumento dei costi di produzione: il business green comporta costi extra, spesso molto elevati, per implementare i propri impianti di produzione e renderli sostenibili.
Agli albori del 2023 da ricerche emerge che il 55% del campione di aziende italiane prese in esame ha adottato sistemi per usare energia e acqua in modo più efficiente, il 49% riduce e ricicla i propri rifiuti e solo il 34% utilizza fonti rinnovabili, bel il 36% dei poli produttivi non ha ancora implementato i sistemi per ridurre i gas serra.
Per queste motivazioni in generale il trend italiano è rallentato e in deficit su tutti e cinque i punti. Su scala mondiale, in base agli studi di settore di Germanwatch e Legambiente per l’Italia, riferendosi a come ogni paese sta portando avanti il proprio percorso green, l’Italia si posiziona al trentesimo posto. La classifica alla fine del 2022 è guidata dai paesi del Nord Europa e in particolare da Danimarca, Svezia e Norvegia che pur essendo modelli a cui ispirarsi comunque non occupano i primi tre posti che restano non assegnati. Questo implica che anche gli altri paesi, benché in avanti rispetto all’Italia, non hanno del tutto raggiunto le tappe previste dagli accordi di Parigi.
Per cercare di recuperare posizioni, anche per l’Italia, sono stati stanziati circa 70 miliardi di euro da impiegare per consentire alle aziende a anche ai privati di agire e produrre e utilizzare le risorse disponibili secondo quanto previsto dalla Rivoluzione verde. A questo si affiancano criteri di efficientamento ancora più rigorosi previsti per ogni settore come anche sistemi di monitoraggio e di controllo ambientale tramite tecnologie intelligenti come droni e sistemi smart engineered che combattono e prevengono scarichi illegali, lo sfruttamento non conforme delle risorse naturali o la sorvegliano la corretta gestione dei rifiuti, e lo stoccaggio secondo raccolta differenziata.
Se valutiamo invece quanto ad oggi è stato già fatto e i traguardi conseguiti su territorio italiano troviamo che sono stati avviati i bandi per l’ammodernamento e la realizzazione di impianti di gestione dei rifiuti con l’intento di diminuire il più possibile il gap tra le varie regioni in particolare tra il Nord e Centro-Sud Italia.
Il governo ha promosso l’applicazione del superbonus 110% per ammodernamento degli impianti energetici degli edifici pubblici e privati e ha promosso l’uso del biometano, è stato approvato il piano di forestazione urbana ed extraurbana ed è stato introdotta la riforma e normativa per i servizi idrici al fine di minimizzare le perdite di acqua e digitalizzare il più possibile la rete di distribuzione.
Tutte queste misure esplicitano la presa di coscienza del nostro governo delle reali necessità per poter rendere il nostro paese competitivo, all’avanguardia e allineato con il resto del mondo circa quanto da fare senza indugi per ovviare ai problemi dovuti all’emergenza climatica in corso. Da un’analisi generale appare evidente che le difficoltà riscontrate lungo questo percorso rendono la transazione ecologica qualcosa di ancora molto astratto che stenta a decollare, ma il fatto di aver istituito un vero e proprio ministero è sinonimo di concreto e vivo interesse e dovere morale nei confronti delle generazioni future. Chiaro è che tutto questo descrive la raccolta di alcuni componenti di un puzzle ancora più grande che coinvolge tutto il globo e che porterà a risultati mirati e puntuali solo se il livello di interesse resterà vivo per tutti i coinvolti.